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Pensando a conflitti sociali mi vengono in mente: Vecchi contro Giovani e Maschi contro Femmine. 

La prima questione personalmente mi tocca meno della seconda, ho sempre avuto una passione per la vecchiaia e mi piace avere amici di diverse generazioni, eppure conosco molte persone che portano avanti le loro battaglie.  Certamente, avranno i loro buoni motivi. La seconda, invece, mi fa ribollire il sangue. In tutto, mi sento di avere lottato contro il sesso opposto. Fin dalla quinta elementare quando Federico, il mio compagno di 8 anni, da amichetto divenne improvvisamente mio acerrimo nemico. Posso partire, quindi, dalla mia esperienza Maschi contro Femmine: di sicuro c’è una parte della mia storia personale – a partire da Federico – fino a una “lista-di-altri-1000-nomi” che raccontano questa mia lotta. Una lotta che mi ha portato e mi porta sempre qui, alle questioni di genere. 

All’origine, credo vi sia anche una profonda insoddisfazione e senso di iniquità che mi è capitato personalmente di provare in contesti prettamente maschili o in generale durante quasi ogni confronto con il maschile. Quando realizzai che non ero la sola a provare queste sensazioni, ma era un fenomeno diffuso in tutto il mio paese, decisi felicemente nel 2021 di andare in Francia, dove era tutto meglio da questo punto di vista.  Sono poi ritornata in Italia, non so sotto quale stella, ma credo si chiami Rientro dei Cervelli. 

Nonostante mi lamenti continuamente di questa questione del femminile, io, alla fine dei conti, sono stata accettata quasi ovunque e ne sono grata, ma ancora non mi basta.

 Quante cose vuoi Silvia? 

Troppe evidentemente, perché non è per me soddisfacente vedere che la questione femminile non sia risolta a livello sociale. 

La parola qui è purpose e questo mio racconto personale credo possa essere un modo efficace di descrivere quella spinta che porta un gruppo di persone qualsiasi a voler fare un’azione nel mondo, ad esempio tramite la messa in piedi di iniziative imprenditoriali, anche in senso lato, quindi iniziative di leadership. Se non c’è un fuoco, e anche, da un certo punto di vista un conflitto, non c’è tutta questa spinta, o sbaglio? Una delle prime domande quindi quando incontro un imprenditore (o imprenditrice, anche se, è purtroppo statisticamente meno rilevante usare il femminile) è “perché?”. Perché vuoi fare questa cosa qui? Perché non un’altra? 

La sfida subito successiva è invece la capacità della persona, imprenditore o imprenditrice, ad ampliare il suo purpose rispetto a quel nucleo originario grazie all’aggregazione che avviene con altre persone che si accostano alle origini di un progetto. Quindi la capacità di rinuncia, anche, rispetto a quella spinta così forte iniziale per l’evoluzione del progetto che nel frattempo da “il suo” è diventato “il loro”. 

Startup è quindi molto più plurale di quanto si creda, abituati come siamo a identificare una realtà con la persona che la guida. Per portare un esempio differente, conosco una realtà dove i clienti per riferirsi a quella realtà non dicono più “L’Azienda X” ma “i ragazzi di Nome Azienda”. Trovo questa cosa molto interessante perché in qualche modo fornisce elementi in grado di sanare il primo dei due conflitti sociali, presentati all’inizio di questo articolo.

Allora, forse, ci sarà anche per me un momento in cui la seconda questione che mi sta molto a cuore verrà risolta a livello sociale? Al momento, non credo. E davvero, vorrei starmene a sorseggiare un Saint Germain Spritz in Place de la Concorde, rispetto a stare qui a parlare di femminismo in Italia, ma se non lo faccio io, insieme a tutte quelle che possono farlo, chi lo deve fare? 

Consiglio quindi a tutti i lettori di questa rubrica letture, vite e figli femministi. Ricordo che la parola femminismo è nata in contrapposizione alla struttura patriarcale della nostra società che è ormai al suo capolinea, oltre ad avere stufato anche le capre, che, per come me le immagino io tranquillamente a brucare l’erba, non si stufano quasi mai. 

Io dal canto mio, invece, qui vi saluto, perché sto ancora cercando di capire a cosa devo rinunciare per far evolvere questa mia battaglia da mere lamentazioni a qualcosa che sia anche d’altri e a volte, se ci penso, mi dico che dovrei rinunciare al mio spirito di guerra sociale. Quando ho questo pensiero poi mi dico anche che, nel dubbio, è meglio scrivere o darsi alla noia, magari qualcosa di buono ne uscirà. Ecco quindi il fumetto che, con le mie poche doti in disegno, ho creato.

Silvia Manduchi

J’écris, donc je pense. Je pense, donc j’écris. Un cercle (pas si) vicieux.

Silvia Manduchi