Dopo questo titolo ho già mal di testa.
C’è una questione importante che mi aggroviglia la testa mentre abbozzo questo articolo sul lettino del mio dentista, concentrata sulla mia protesi della mano, il cellulare. Ma di cosa si tratta? La questione è che le cose sono complesse, eppure talvolta possono anche essere semplici. Ok, è venuto il momento di lasciare il cellulare, l’assistente mi guarda in attesa.
Eccomi di nuovo qui, ancora con qualche effetto dell’anestesia del dentista. La mia illuminazione sotto i ferri e sotto le luci di questa spiacevole operazione è risolutiva. Quando c’è una sfida rilevante in termini di cambiamento di un gruppo non si può evitare di andare in queste due direzioni: verticale, per cercare di risolvere una tematica; orizzontale, per cercare di connettere i puntini; ancora verticale, cioè tornare ai dubbi avuti in precedenza; ancora orizzontale, per trovare soluzioni alternative. E via così…
Verticale, orizzontale, verticale, orizzontale.
Anche io recentemente mi sento tra queste due traiettorie. Ad esempio, nei miei articoli del martedì, Silvia Castrogiovanni mi fa notare che devo essere sintetica, qualche amico mi dà degli spunti, e poi torna martedì e devo di nuovo scrivere, sintetica e spunti, sintetica e spunti, la prossima volta ci sarà sicuramente qualcos’altro da integrare.
Vorrei capire come il mio interesse per le analisi sociali si connette a questo strano verticale abitato da startupper che cercano di risolvere questioni specifiche. Vorrei capire dove sta l’intersezione con tutti gli incontri intellettuali che faccio (incontri di vario tipo, con i libri o con le persone) e che mi appassionano molto, dove lo sforzo è cercare di analizzare questioni sociali, puramente orizzontali.
Se ciò che è politico è anche personale, anche ciò che è verticale è forse sempre anche un po’ orizzontale?
Faccio un esempio. Tutte le startup vogliono risolvere problemi vissuti dai potenziali clienti, con uno scopo opportunistico, di solito la crescita. Ogni gruppo ha i suoi scopi. Nel comunicare agli investitori c’è sempre la slide sul problema e su come la startup si propone di risolvere quel problema specifico vissuto dai potenziali clienti anche per questioni sociali. Ciò che interessa all’investitore nelle prime fasi è la capacità intellettuale di spacchettare il problema. Le soluzioni sono collegate non solo al modo migliore di risolvere quella problematica (innovazione, execution, orizzontale, verticale…) ma anche, udite udite, dipendono da quali sono le diramazioni delle tematiche sociali sottostanti. Ci sono in essere modalità alternative per risolvere quel problema? Modalità che esulano dalla tua idea imprenditoriale? Quale è davvero il problema? Quali sono i suoi pezzetti?
Mi sembrano ottime domande da porsi perché si realizzi un’intersezione inaspettata nel nostro cruciverba: la parola “IMPACT”. Ecco che quindi ho riassunto dove sta la vocazione all’innovazione sociale nelle startup. Ogni iniziativa verticale ha un impatto orizzontale, ogni idea di disruption ha un effetto sociale e ogni problematica sociale ha delle diramazioni. E il modo peggiore per avere un impatto è quello di non essere consapevoli dei puntini creati.
Forse, ecco, gli startupper dovrebbero imparare a essere un po’ meno naïve e non dare sempre per scontato di stare salvare il mondo, ma piuttosto dare un contributo consapevole al suo sviluppo, essendo tra gli attori (non gli unici) che si occupano intellettualmente di spacchettare alcuni problemi con un impatto sociale.
In definitiva dal mio lato del tavolo, annerisco le caselle, come nelle parole crociate al mare quest’estate, e trovo il modo migliore per comunicare tutto quello che ho pensato sotto alle mani esperte del mio dentista di fiducia, sperando sempre nelle intersezioni inaspettate e nel trovare le parole giuste. Ma forse, si tratta di un lavoro di una vita intera. Forse, il vero punto è non smettere con questo moto.