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Momenti strategici e sviluppo personale nelle fasi di scaleup 

È da ormai un po’ di mesi che seguo in modo ravvicinato lo scaleup di una startup. (quanti gradini di fronte a me e quante “s” e “t” e “p” tutte insieme!). Il tutto è iniziato quando vivevo ancora a Parigi e uno dei soci mi ha mandato un audio dicendo “Silvia! ho sentito che a Parigi ci sono degli scontri, è pericoloso!”. Ci pensavo l’altro giorno, manifestare in tutte le forme in cui mi è concesso è per me una top priority, da quando andavo al liceo Alvise Cornaro di Padova, molto avanti dal mio punto di vista, dove ci insegnavano a far sentire la voce. Fatto divertente: a mio padre non è stato permesso di andarci, data la sua famiglia rigida. Io ci ho, invece, sguazzato là dentro in lungo e in largo. La cosa più bella della mia scuola era che non c’erano molti pregiudizi, eravamo tutti genuinamente più amici che nelle scuole del centro. Recentemente, mi hanno riferito, è stato il primo liceo a riconoscere i pronomi neutri di genere in Italia, e forse, penso, sono proprio questi i luoghi di cui abbiamo bisogno per formare i ragazzi alla società civile, oggi. Nonostante qualche sciopero al liceo, in Francia ho capito meglio il significato sociale del manifestare per qualcosa in cui si crede e, tra le poche cose che ho fatto tornando, ho cercato di capire come mai le manifestazioni qui siano piene di ansia e vuote di energia, ma questo è un fatto per cui non ho ancora una chiara risposta o forse richiederebbe un po’ di tempo spiegarlo. Invece, con i soci in questione è più o meno davvero andata così: al messaggio era annessa una domanda “quando vieni a Milano a lavorare con noi”?  Una volta tornata, sono stati tra i primi a cui ho rivolto le mie energie. Uno dei soci è tra i miei più cari amici e con gli altri due mi ci sono presto incontrata, con qualche assestamento, il connubio è quindi presto fatto. All men, sì all men, banda di amici, sì banda di amici… Ecco svelato da dove prendo le idee per gli articoli. 

Chiamiamo questi soci (all men e banda di amici, AMBA), per il prosieguo di questo articolo: i soci AMBA o semplicemente gli AMBA, tipo un gruppo musicale del liceo. I soci AMBA sono un organismo a sé e per il mio di mondo sono più famosi dei Maneskin, soprattutto il venerdì, quando siamo tutti intorno al tavolo e mi rendo conto che a volte volano su binari paralleli, ognuno con la propria expertise. Il loro pregio è che comprendono che una visione comune è un lavoro condiviso, ma soprattutto un lavoro. 

Il mio unico compito è allineare questi binari, facendo deragliare, in alcuni casi, qualche piccolo treno affinché si vada tutti nella stessa direzione. È questo lo scaleup, non molto di più. Credo che un momento di consapevolezza rispetto al cambiamento si possa vivere all’interno di molti progetti, non solo aziendali. Quel momento in cui ti rendi conto che le cose devono cambiare, quali cose poi? Identificarlo è rilevante. Ti rendi anche conto che perché ciò avvenga devi fare un lavoro sia individuale che collettivo, praticamente due facce della stessa medaglia. Il cambiamento non si fa da soli e avviene anche dentro sé stessi, strano, no? Però quando l’urgenza del cambiamento non è percepita si può manifestare per farne presente la necessità, lo si può fare in molti modi. Penso, in un momento di riflessione personale, che è una vita che manifesto per una marea di cose. L’ho sempre fatto. Forse è qualcosa che dovrei rimettere in discussione? O fa troppo parte della mia identità?

C’è un episodio a riguardo che credo sia una bella metafora da raccontare. Da piccola passavo molto tempo nella campagna friulana (che Pasolini respiri in questo racconto!) dove c’era la tradizione di fare i falò durante la befana. Questa tradizione ha strati e strati di folklore sedimentati. Una donna del paese si occupava di fare il pupazzo della befana, di fatto era quella riconosciuta da tutti per la sua leadership, da noi era sempre la Vanda con il suo sorriso gioviale e la sua santità profana. Le donne preparavano da mangiare, mentre gli uomini passavano tutto il giorno a creare le basi per il falò che veniva acceso la sera. Poi, il giorno dopo, cuocevano il porcellino sulle braci (i miei amici animalisti francesi che traducono la mia newsletter so che insorgeranno ma è così che avveniva, non ci posso fare nulla) e mettevano le patate sotto la cenere. La sera del falò, quando si faceva buio, iniziava la fase solenne dell’accensione dove, da quattro lati diversi, si portava il fuoco. Ecco, quando ero piccola e praticamente vivevo tutta la mia giornata nei boschi (bei tempi), osservando questi rituali, è scattata una specie di illuminazione che mi è costata non poca fatica. Sostenevo, con i miei amichetti, che non fosse giusto che “solo i grandi potessero fare il loro falò” e che noi avremmo dovuto farne uno nostro, certo più piccolo, ma nostro. I grandi, questi uomini da cui io ero affascinatissima, con le mani callose e lo sguardo profondo, tra cui mio zio, ci guardavano arrabattarci con il nostro mini-falò -affianco al loro – senza dire una parola ma sempre pronti ad aiutarci. Il momento che mi ha cambiato la vita è stato quando abbiamo acceso il fuoco solennemente insieme, loro quello grande, noi quello piccolo. Dall’anno successivo, il falò dei piccoli diventò un serio impegno dando spazio a nuove dinamiche. Ammetto che non siamo mai riusciti a fare lo scaleup del falò dei piccoli, ma forse era giusto così.

Lo scorso venerdì è stato il primo giorno nel quale, scesa nel “seminterrato” della startup in questione dove facciamo i vertici strategici, prima di incontrare gli AMBA, ho aperto le persiane. Di solito, sono così di fretta che non riesco neppure a trovare il tempo di aprire le persiane…che quindi rimangono chiuse.  Ho convocato il meeting e ci siamo scontrati sulle cose come cinque azzeccagarbugli.  Venerdì, per la prima volta, ho aperto le persiane e mi sono presa addirittura una mezz’ora per scrivere il mio articolo. Forse c’è luce in fondo al tunnel! 

Forse allora (dico forse), c’è uno spazio nel mondo aziendale anche per chi fa deragliare i treni, per i disturbatori, per chi vuole cambiare qualche cosa. Ma quanto sono fondamentali gli alleati, perché il fuoco ci e si accenda? E poi, come si fa a tenerlo acceso? Proprio ora che i falò per questioni ambientali iniziano ad essere vietati, proprio ora che forse i ruoli maschili e femminili si sono combinati diversamente, chi ci aiuta? Dove sta il fuoco? Penso che di loro, degli alleati, anche cambiando ambiente, ce ne ricorderemo. Io mi ricorderò di quegli uomini con le mani grandi che facevano il falò meglio di noi.

Tutto questo avviene nella mia testa, mentre gli AMBA sono qui riuniti di fronte a me. Forse è il momento di impegnarsi per tenere attivo il falò, forse quella Silvia

Silvia Manduchi

J’écris, donc je pense. Je pense, donc j’écris. Un cercle (pas si) vicieux.

Silvia Manduchi